Un grande cast di attori per un film gigante, ma che poggia su due piedi d’argilla, e proprio due sono le debolezze di questa pellicola, due vuoti: uno contenutistico, l’altro linguistico.
Partiamo dal vuoto di contenuti: il film tratta della salvaguardia delle opere d’arte europee durante la seconda guerra mondiale da parte di un manipolo di soldati-intellettuali che si aggira per l’Europa cercando di salvare il salvabile e recuperare le opere d’arte. Dunque l’arte dovrebbe essere al centro della trama. Ecco qui il primo guaio: dovrebbe. Parrebbe quasi che Hollywood (come industria e come ideologia) ci metta lo zampino e che più che parlare di cultura e storia dell’arte si parli d’altro, sottotraccia. Ecco allora che il film più che cercare di mostrare perché è giusto lottare per salvare l’arte si limita a farlo dire ad un personaggio, mentre rappresenta una lotta attorno a delle icone più che una lotta per salvare il patrimonio di tutti, rappresenta i buontemponi americani pieni di buoni sentimenti, pacifisti, fedeli alla causa ed alle proprie donne lontane (la povera Cate Blanchett non riesce ad ammaliare l’integerrimo Matt Damon: uso i nomi degli attori non solo perché non ricordo i nomi dei personaggi, ma proprio per sottolineare la assenza di una caratterizzazione non superficiale di essi); soprattutto il film rappresenta americani votati alla causa dell’umanesimo altruista, che vogliono mettere le mani sui pezzi d’arte non per appropriarsene (come i cinici russi), ma per restituirli ai legittimi proprietari, con una vena di paternalistico eccezionalismo americano davvero indigeribile. Ecco allora che più che un vuoto, riguardo ai contenuti, c’è un “altro” che pur presentando delle scene interessanti (i bambini soldati) si perde dietro buonismo, semplificazioni e necessità narrative, con il cattivo brucia-quadri che per essere condannato a morte alla fine del film viene pure reso un comandante di lager, oppure con la componente sportiva tra americani e russi nell’accaparrarsi i pezzi d’arte (anche se è per salvarli i quadri sono comunque un trofeo), fino ai discorsi grondanti retorica spicciola che George Clooney fa al presidente USA (salvaguardare la cultura è giusto perché distruggere le opere d’arte è fare tabula rasa della cultura dei popoli, ma anche fare certi film un po’ contribuirà no?).
E questo è anche il punto meno problematico perché in fondo non ci si poteva aspettare molto altro da un film del genere se non qualche bella storiella edificante su quanto sono bravi e belli gli americani.
La cosa che lascia sconcertati è il “vuoto” (che non è tale) linguistico. Il film infatti consiste in una grande quantità di scene, vagamente collegate tra loro, che ruotano attorno ad un elemento centrale (un personaggio pesta una mina, bisogna assaltare una casa e così via), e tutto il resto appare di contorno. Così più che un film questo sembra un mosaico a grana grossa, in cui la quantità di personaggi e di vicende che si vuole raccontare e intrecciare è tale che la trama esplode in pezzetti, in quasi-monadi, in cui manca letteralmente lo spazio e il tempo per qualsiasi forma di approfondimento. Questa frammentazione è tale che i personaggi che agiscono nel film non superano il grado di attanti dai caratteri appena abbozzati: sono maschere che si muovono su un fondale, combattono e muoiono e per questo allo spettatore resta una impressione non molto diversa rispetto a uno spettacolo di burattini. Insomma mancano proprio le basi linguistiche di un film che sia effettivamente narrativo e non solo “attrattivo” (cioè che fa vedere delle cose che capitano e catturano l’occhio, come accadeva ai suoi primordi, con un tipo come Méliès); è questo il vero, irreparabile, punto debole del film, che neanche le faccette di Clooney o la capacità attoriale della Blanchett possono salvare in alcun modo. Certo esiste un’altra interessante possibilità, cioè che il film come narrazione e montaggio, cioè racconto, stia mutando verso un’altra forma, e allora questo Monuments Men potrebbe essere invece che un vuoto, il nuovo che avanza. Comunque sia anche questo punto della seconda guerra mondiale è stato reso un film, rimaniamo in attesa della prossima storia particolare su questo periodo che verrà ri-scoperta da Hollywood, oppure di un reboot di qualche vecchio film di guerra.
Matteo Cattelan