Cosa c’è dentro una cosa poetica

Intervista al poeta e giornalista Ennio Cavalli sul suo prossimo libro, Tonino Guerra e il premio Nobel

La poesia di Ennio Cavalli naviga al largo dalle rigide etichette formali, dalle visioni auliche della poesia o da sperimentalismi sterili e fine a se stessi, come testimoniano queste parole, estratte dal saggio Il poeta è un camionista: “Sembra sempre che, per scrivere o per mettersi a leggere, debba esserci chissà quale atmosfera. Magari, mentre aspetti l’atmosfera, ti passa la voglia. […] Ogni volta che la parola poesia sembra ardua, ingombrante, noiosa, svagata, o se ricorda troppo da vicino l’aggettivo lirico, coi suoi fumi stordenti, allora conviene passare all’espressione cosa poetica”. I versi dell’autore forlivese dimostrano di avere grande fiducia nella capacità della parola di essere al tempo stesso strumento di comunicazione e di espressione. La parola poetica, infatti, tenta di dare corpo a esperienze indicibili come il caos, il disagio, l’alienazione e l’inappartenenza evocandole attraverso immagini o percezioni, senza mai nominarle in maniera esplicita.

In questo senso lo sguardo della poesia di Cavalli mira proprio a tratteggiare senza etichettare l’esperienza umana, nel tentativo di esprimere qualcosa di straordinario a partire da un’esperienza ordinaria e giornaliera. Non a caso, l’esordio in versi di Ennio Cavalli è intitolato L’infinito quotidiano (1973), a testimonianza di una ricerca poetica che parte dal basso, nel tentativo di rintracciare e di fermare in una cosa poetica l’essenza della vita, il suo nucleo, la sua forma primaria. La seconda raccolta è Naja Tripudians (1976) dopo la quale inizia una carriera da scrittore a tutto tondo, in equilibrio tra verso e prosa: narrativa per ragazzi, romanzi e saggi. Nel corso degli anni le sue opere hanno ricevuto numerosi riconoscimenti: ha vinto il premio Viareggio-Rèpaci, sezione poesia, con Libro grosso (2009)ed è stato finalista al Campiello con il romanzo Quattro errori di Dio (2005).

Lo abbiamo intervistato per parlare del suo nuovo libroLa cosa poetica, in uscita nel 2014 per Archinto, e soprattutto per ricordare due grandi poeti della tradizione romagnola, recentemente scomparsi, Tonino Guerra e Raffaello Baldini, con i quali Cavalli ha avuto spesso occasione di confrontarsi, stringendo con loro un rapporto di conoscenza personale.

La cosa poetica rappresenta il proseguimento ideale de Il poeta è un camionista, edito nel 2003 da Archinto. All’ultima pagina di quel libro lei scrive: “Una cosa poetica somiglia a un’avventura di viaggio, a una bella nuotata, a un lucido delirio […] una cosa poetica non aspira a finire in una Poesia con il pennacchio della maiuscola è già dentro una poesia a capo scoperto, con la p minuscola”. Ci spieghi meglio che cos’è una Cosa poetica e perché si tiene alla larga dalla Poesia con il pennacchio della maiuscola?

Questa è una bella provocazione, alla quale vorrei rispondere citando in anteprima una pagina del mio prossimo libro:La poesia in fasce, la poesia da pupa ha nome e cognome. Si chiama cosa poetica. La si incontra nei racconti dei vecchi e dei bambini, nei fiori che non hanno il concetto di futuro, eppure ostinatamente rifioriscono, negli incontri inaspettati, nelle fantasie meno ripetute, nell’ammutinamento del senso comune, quando l’ineffabile diventa affabile e la giornata svela di che pieghe è fatta, nelle parole che muovono un sorriso o una serrata, nella ricostruzione di una storia a partire da un pugno di mosche, nella deflagrazione di un viaggio sempre rinviato o fatto e rifatto, in un silenzio senza appigli.

Di cose poetiche è pieno il mondo, a saper guardare e ascoltare. Il tempo dirà se la pupa era destinata a diventare farfalla e a finire nei libri. O se preferisce restare lì dove l’abbiamo trovata. I libri sono la vetrina dove esporre i gioielli. L’anima e il portafoglio dei giorni sono la miniera da cui estrarre le pepite grezze, cioè la materia prima che, con estro e perseveranza, può essere trasformata in valore corrente, in zecchini sonanti, in fermagli lucenti. Ma questa inaugurale lettura della realtà è offerta a tutti senza distinzione, poeti e non poeti, uomini e donne, bambini e clandestini.

Recentemente è venuta meno la voce di un grande poeta, Tonino Guerra, le cui radici, in primo luogo linguistiche, affondano nella terra romagnola. Qual è secondo lei l’eredità più importante che ci ha lasciato?

Tonino è stato un grande raccoglitore e seminatore di cose poetiche e attraverso la sua opera ha fatto capire a mezzo mondo la qualità della tenerezza e la semplicità delle grandi domande.

Che tipo di legame intrattiene, a livello poetico, con la Romagna e quali sono i poeti di questa terra, oltre a Guerra, a cui si sente più affine?

Raffaello Baldini è stato ed è un altro grande poeta contemporaneo. Contemporaneo agli umori e ai valori profondi della nostra terra, della vita di uomini e donne con alle spalle un borgo o un paese, un nucleo sociale e umano di partenza in cui riconoscersi. Circola ancora su Internet l’ultima chiacchierata tra me e lui, trasmessa da Radio Rai. I suoi monologhi sono pagliai pieni di aghi regalati, rintracciabili al primo colpo d’occhio sensibile.

Infine Sergio Zavoli è un’altra figura di riferimento a cui sono molto legato, un maestro di giornalismo e di umanità, “testimone del tempo” anche nella sua più recente stagione poetica.

In Il poeta è un camionista, lei traccia una sorta di kit di sicurezza per riconoscere la buona poesia e per scrivere versi. Cosa consiglierebbe oggi a chi si avvicina alla poesia?

Se vi viene voglia di affrontare l’invisibile, l’irrazionale, l’appena percepito, di prendere per la coda un momento di tenerezza, un pensiero bizzarro, maldestro o la luce nascosta in una parola più malleabile o più rissosa delle altre, non abbiate paura. Fatevi sotto. Non per la Letteratura, che richiede ben altra innocenza, ma per il bene del vostro spirito. Non è un assioma l’anima del mondo, è sempre in attesa di nuovi censimenti.

Nella sua carriera di scrittore si è occupato molto anche di narrativa per ragazzi. Ci può parlare della sua esperienza in questo genere spesso “snobbato” dal pubblico adulto?

Non credevo che scrivere per ragazzi desse tanta soddisfazione. Vado nelle scuole a parlare dei miei libri e incontro un pubblico attento, affettuoso, partecipe, con i volumi spiegacciati pronti all’autografo. Il bello è che scrivo per ragazzi come scrivo per gli adulti: stesso stile trasparente e robusto, come una finestra con i doppi vetri.

Il suo mestiere di giornalista l’ha portata a viaggiare molto per il mondo come inviato speciale della Rai. Come hanno inciso queste esperienze nei suoi versi e in particolare la sua esperienza di inviato a Stoccolma ogni Dicembre in occasione del conferimento del Nobel?

Ho seguito il Nobel ininterrottamente dal 1986, quando lo vinse Rita Levi Montalcini per la medicina. Tornando ogni anno a Stoccolma, sempre in quella settimana di Dicembre (il premio, infatti, viene conferito il 10 dicembre, anniversario della morte di Alfred Nobel), mi sono innamorato di questa città, dell’atmosfera natalizia a quelle latitudini, della capacità che hanno gli svedesi di rendere esemplare e stimolante “l’infornata” di talenti che ogni anno passa lassù a ritirare il premio dalle mani del re. Inoltre c’è una foltissima rappresentanza di studenti, nei vari momenti della cerimonia e negli incontri con i Laureati. Da quegli incontri e da quella parte della mia vita di inviato speciale ho tratto ispirazione per la stesura di due romanzi di viaggio: Il romanzo del Nobel nel racconto di un inviato (2000) e Il divano del Nord. Viaggio in Scandinavia (2005).

Le parole” ha scritto “sono la prima pelle delle cose”. Forse era di questo parere anche il poeta Raffaello Baldini, il quale nella sua ultima opera per il teatro dal titolo La Fondazione ci racconta di un personaggio anziano, prossimo a morire, che trova racchiusa negli oggetti d’uso quotidiano, anche nei più banali come la carta delle arance, la sua stessa esistenza, al punto di voler fare, in preda a un delirio, una fondazione per quegli oggetti. Si ritrova in questa visione baldiniana? Qual è il legame che intrattiene la sua poesia con le cose e con gli oggetti del quotidiano?

Mi ritrovo tantissimo nelle intuizioni ironiche, affettuose e espanse (altro che minimaliste!) di Lello poeta e affabulatore. I soprammobili, i souvenir, i libri sul comodino, le cose amate, perfino alcuni utensili, belli o brutti che siano, raccontano la nostra storia. Essi sono davvero il museo minimo del nostro percorrere la vita, i nostri Lari e Penati. E allora viva il superfluo delle cartine che avvolgono le arance, sempre più difficili da trovare, con i loro disegni naif!

Emanuele Gardini

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