Ad ogni uscita cerco di ragionare insieme a voi su una parola, un concetto, un aspetto importante della lingua che parliamo, una lingua bella e complessa, che a volte viene stravolta e violentata, a volte ossequiosamente imbalsamata. La nostra fortuna è che non sempre si lascia addomesticare.
In molti provano a fare del loro peggio per far dire alla parole ciò che non possono, né vogliono dire. In quei casi, sento che il mio dovere è questo: ascoltare quello che sta dietro e dentro quelle parole, mentre soffrono per un uso nuovo e logorante, rischiando di rompersi e far male, come cacciaviti usati per martellare. Ho cercato di aguzzare l’orecchio per cogliere qualche dissonanza più forte delle altre e produrre questi tre:
Appunti per leggere il giornale
Trasparenza
“Trasparenza” è una delle parole più selvagge che sia dato di incontrare nel panorama attuale.
La trasparenza è la proprietà di un oggetto di lasciarsi guardare attraverso. Direte voi che non c’è bisogno di spiegarlo, che è una parola conosciuta e usata da tutti. Eppure l’accezione più comune con la quale capita di sentirla è più recente e diversa, figurata, utilizzata specialmente nella propaganda (se posso chiamarla ancora così) di partiti e movimenti; “trasparenza” in questa accezione significa “assoluta visibilità e comunicazione completa in ogni dettaglio degli atti di un soggetto politico, di un responsabile, di un personaggio pubblico”. Insomma il dovere di essere trasparenti sarebbe il dovere di far sapere quello che si sta facendo. Ora, sarà una sottigliezza, ma a me sembra che la trasparenza indichi completamente un’altra cosa. Voglio dire che se un personaggio pubblico fa cose trasparenti, è molto probabile è che non le si veda, e, per converso, che le cose che meno si vedono, siano proprio quelle più trasparenti, come una porta a vetri contro cui si sbatta il naso inavvertitamente. Voler vedere tutto fino in fondo non è segno di maturità, ma solo di profonda sfiducia. Bisogna stare atttenti: la trasparenza completa confina con l’inesistenza, mentre quello che noi vogliamo da un oggetto trasparente, mettiamo il vetro di una finestra, è non solo che si faccia guardare attraverso, ma che si faccia vedere per quello che è, che un poco almeno ci protegga.
Valori non negoziabili
“Valori non negoziabili” è una locuzione utilizzata per lo più in discussioni di principio sugli assoluti (dunque in discussioni che tendono a finire prima di cominciare). Per dirne una, l’inindagabile confine tra la vita e la morte si può trasformare in un becero mercato delle idee più stramplate e dei partiti presi più radicalmente insindacabili su cosa siano la vita e la morte di qualcuno che non conosciamo. A me però pare che in questo concetto ci sia un malinteso: se una persona mi dicesse che “negozia valori”, vocabolario alla mano, io penserei che si occupi del commercio di gioielli e pietre preziose (ma questo forse è un po’ sottile). Per farla breve, la collocazione del “valore” morale accanto al concetto di “negozio” è un po’ capziosa. È come dire che qualsiasi tentativo di argomentazione intorno a cosa sia un valore, equivalga a un tentativo di corruzione, quasi che la civile disputa democratica, anche dove fatta con intelligenza, sia una mancanza di rispetto. Ecco, io invece penso che la pratica di interrogarsi profondamente intorno ai valori che informano la vita sociale di un paese sia una pratica salutare. E lasciamo stare i gioiellieri.
Surreale
Il surrealismo è stato un movimento artistico rivoluzionario e d’avanguardia, nato intorno alla carismatica figura di André Breton, che ha coinvolto artisti, soprattutto, ma non solo, francesi, predicando, sulla scorta della psicologia freudiana e legandosi al pensiero marxista, la liberazione delle potenzialità della fantasia, del sogno, della mente lasciata alle sue pulsioni e forme di espressione più incontrollate.
Oggi l’aggettivo “surreale” è entrato a far parte del lessico dei politici di orientamento conservatore per descrivere qualsiasi affermazione fatta in piena coscienza e secondo le più elementari regole della logica da personaggi pubblici avversi al loro orientamento. Un totale e antistorico rovesciamento di senso.
Per concludere vi regalo una poesia, non mia, no, ma di Valerio Magrelli (uno che se ne intende), tratta dalle sue “Didascalie per la lettura di un giornale” del 1999 (come passa e non passa il tempo!), che non poco mi hanno ispirato per questa ricognizione:
Dall’interno
La funzione profilattica
del linguaggio politico
consiste nell’impedire un contatto
diretto tra le cose. Grazie allo
sviluppo dei nuovi materiali,
il codice è oramai ridotto a un velo
impercettibile (starei per dire inconsutile),
che fa sentire tutto
dove non passa niente.